Posts tagged with “patrimonio culturale”

Wutopia Lab trasforma una fattoria in azienda hi-tech

wutopia-lab--golden-barnyard-cockaigne-of-everyman--chongming-creatar-images-afa.png

È l’ultimo progetto dello studio Wutopia Lab ed ha interessato aie e fienili in rovina dello Dongtanyuan, sede del gruppo alimentare Bright Food cinese.

L’intervento di ristrutturazione è stato piuttosto complesso ed esteso comprendendo circa 1500 mq ed il solo capannone principale è lungo 220 m. Il nome Golden Barnyard: Cockaigne of Everyman raccogli gli intenti dei progettisti di definire un luogo di eterno svago.

L’ispirazione progettuale ha come filo conduttore uno sgargiante color giallo che rimanda al colore del grano ed al raccolto come nel dipinto "Un paese di Juaja" di Brueghel. Ad interrompere la distesa di cemento color oro vi sono linee di un rosso scuro che definiscono percorsi ed ancora una volta lasciano pensare alle distese di campi. Laddove il terreno si increspa crea un effetto simile a quello dei cumuli di grano e sospendono la distesa pianeggiante. Uno dei progettisti, Ting Yu, ha infatti dichiarato:

“Ciò che associamo all'aia è uno stile di vita da fattoria e certe fantasie elementari del tempo. In ogni caso, il concetto di aia è semplice e concreto, così ho deciso di usare il colore dorato per simboleggiare il raccolto che non finisce mai. Volevo che il Cockaigne fosse un luogo di eterno svago, di cibo superbo e di edifici abitabili”.

L’innovazione progettuale che sfiora la land art non dimentica di prendere in considerazione l’architettura locale, in particolare quella delle antiche costruzioni dell’isola di Chongming, per il magazzino esistente invece è stata pensata una facciata in cemento. Il fienile ha mantenuto la sua struttura interna a due piani assecondando però le necessità della Bright Food di esporre prodotti agricoli, nasce così la Bright Milk House, che si caratterizza per i pannelli di policarbonato bianco che la ricoprono.

L’architetto Ting Yu aggiunge che: “Diversi elementi dell'edificio, come diversi ricordi, sono sparsi in questo campo di cereali, e ogni volta che si entra in uno di essi, sembra di innescare una storia di altri tempi che aspetta soltanto di essere scoperta”.


La Chiesa di Atlántida (1960) entra a far parte della Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO

croquisiglesiadeatlantida-2.png

L’annuncio della Fundación Eladio Dieste arriva dopo la 44° seduta del Comitato del Patrimonio Mondiale tenutasi in modalità virtuale dal 16 al 31 luglio a Fuzhou (Cina).

L’ICOMOS, organo consultivo della convenzione ha suggerito l’inserimento dell’opera dell’ingegnere uruguaiano Eladio Dieste nell’importante elenco quale esempio dell’innovazione progettuale dell’America Latina del XX secolo. Il perfetto connubio tra la ricerca tecnologica e le produzioni locali nelle opere di Dieste hanno travalicato i confini attirando l’attenzione del panorama specialistico internazionale.

La semplicità e al tempo stesso la praticità sono i caratteri principali dei suoi progetti, attraverso l’impiego del semplice mattone giunge a soluzioni architettoniche che trascendono la tradizione dei principi costruttivi delle volte e giungono a risultati dall’effetto sorprendente. In particolare, il sistema costruttivo da lui adottato si presta alle coperture di estese superfici non venendo meno ad esigenze di economicità e praticità, sosteneva infatti che

“non si può produrre un'architettura sana senza un uso razionale ed economico dei materiali da costruzione".

L’opera di Dieste è resa dunque riconoscibile dal mattone a vista e dalle superfici curve, plasma la forma pur perpetrando un metodo di costruzione sostenibile. Le sue realizzazioni, infatti, sembrano penetrate da un profondo senso etico e spirituale della progettazione che lo ha portato a definire un sistema costruttivo originale ovvero la “ceramica armata” da cui sviluppa in seguito diversi tipi di strutture lamellari come le volta gaussiane e le volte autoportanti.

La Chiesa di Atlántida a Montevideo è il risultato di anni di sperimentazioni della ceramica armata, una chiesa realizzata interamente in mattoni su fondazioni puntuali, su pianta rettangolare ad aula unica di 30 m x 16 m, con una campata di 19 m sui lati più larghi. Colpisce subito l’andamento curvilineo dei muri perimetrali alti 7 m che alternano una sequenza di convessità a concavità, così come la copertura generando un effetto complessivo destabilizzante ed allo stesso tempo affascinante per l’osservatore. Le pareti sinuose presentano dei fori, con vetri colorati, che lasciano entrare la luce all’interno.

Al lato della chiesa si erge un campanile cilindrico con murature spesse 30 cm, in cui ancora una volta il mattono genera pieni e vuoti molto suggestivi. Le scelte progettuali non si muovono unicamente verso aspetti tecnico-costruttivi, ma assecondano anche la volontà del progettista di esprimere simbolicamente un’idea religiosa di innovazione della liturgia cattolica. Egli, infatti, descriveva così le sue opere:

“Ci commuovono perché risultano misteriosamente espressive e sembrano aprirci una specie di interminabile cammino di comprensione e comunione con il mondo. Perché questo succeda, non ci deve essere nulla di gratuito o trascurato; anzi, in queste opere il nostro spirito deve percepire un sottile adeguamento delle cose costruite alle leggi che tengono in equilibrio la materia. Nessuna dimenticanza o sperpero: solo così è possibile ottenere quell’economia in senso cosmico che implica armonia con l’inappagabile mistero che è l’universo. Non c’è niente di più nobile ed elegante, da un punto di vista spirituale e pratico al contempo, che resistere con la forma”.

La Chiesa di Atlántida costituisce un’eccezione rispetto alla tipologia di cantieri portati avanti dalla Dieste y Montañez che si sono occupati prevalentemente di capannoni industriali, di qui la vera grandezza di Eladio Dieste di sapere sfruttare le scarse capacità tecniche dell’edilizia locale, la manodopera improvvisata ed un materiale povero come il mattone passando da realizzazioni come i capannoni a quella di una chiesa.

L’iter di iscrizione alla lista era partito già dal 2015, la Fundación Eladio Dieste è stata istituita invece nel 2016 a Montevideo con lo scopo di tutelare e mettere al servizio di tutti archivi, modelli e progetti di Eladio Dieste.


Manifattura Tabacchi di Firenze, Hub di creatività sostenibile

manifattura-tabacchi-2.png

Il complesso, progettato da Pier Luigi Nervi a Firenze, si rinnova ed è destinato a diventare icona della factory italiana dove si incontrano arte, design e moda.

Nel 2016 la società immobiliare del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti e il PW Real Estate Fund III LP (fondo gestito da Aermont Capital) hanno fondato una associazione temporanea di imprese con l’obiettivo di dare a professionisti ed artisti l’opportunità di condividere l’ambiente lavorativo. Il complesso originariamente dedicato alla produzione di sigari e sigarette diventa terreno fertile per una progettazione a misura d’uomo e nel rispetto del genius loci.

L’intervento di ristrutturazione da 250 milioni di euro si configura come uno dei più complessi a scala nazionale coinvolgendo 16 edifici per un totale di 110.000 metri quadrati. Si è cercato di dar vita ad un vero e proprio polo multifunzionale sulla base del masterplan ideato da Concrete Architectural Associates e sviluppato poi dallo studio Q-bic di Luca e Marco Baldini e dal paesaggista Antonio Perazzi.

Prerogativa dei progettisti era quella di limitare al massimo le demolizioni puntando invece ad un efficientamento energetico degli edifici esistenti ed una corretta gestione delle risorse idriche. Come sostiene Giovanni Manfredi CEO Manifattura Tabacchi:

“L’inizio dei lavori della Factory di Manifattura è un momento molto importante e simbolico del cambiamento, per noi rappresenta il passaggio dal ‘pensare’ al ‘fare’. L’anima del progetto è quella di riscoprire la parte contemporanea di Firenze, offrendo una dimensione più ‘fresca’, un luogo dove è possibile sperimentare, fare errori, essere innovativi”.

La Manifattura Tabacchi dal 2018 è sede di mostre ed eventi temporanei che hanno luogo principalmente nell’edificio 7 ristrutturato, dove trovano posto anche laboratori per lezioni di grafica, fotografia, scenografia e pittura. Altri edifici sono stati poi recuperati come l’edificio 8 che ospita la DogHead Animation, un team che si occupa di animazione 2d e computergrafica e l’edificio 9 dove è stato realizzato il prototipo della Fabbrica dell’Aria, frutto dello studio di Stefano Mancuso sulla purificazione dell’aria.

La sostenibilità sarà fulcro fisico ed ideale del polo grazie alla realizzazione dell’Officina Botanica posta al di sopra dell’edificio centrale della Manifattura Tabacchi, il quale ospiterà la casa permanente di Not A Museum (NAM).

Alla moda è invece dedicato l’edificio 6, sede dell’istituto Polimoda, con circa 1000 metri quadrati di laboratori e una capienza di 800 studenti. L’attenzione al progetto originario di Nervi è esplicata attraverso le aperture che lasciano immutati i prospetti. Si è scelto quale materiale l’acciaio zincato verniciato che ben si sposa con i serramenti originari pur mantenendo alte prestazioni energetiche. Lo stesso edificio 6 richiama lo stile razionalista industriale tipico degli anni ’30 e degli edifici industriali.

Il quartiere sarà terminato entro il 2022 con l’apertura del complesso volto alla sostenibilità e alla creatività verso il panorama internazionale.


Conclusi i lavori per il Datong Art Museum

datong.png

Un polo culturale per l’antica città di Datong firmato da Foster + Partners assume forme scultoree ed iconiche.

Si trova nella parte est della città cinese, che pur essendo stata fondata nel 200 a.C. presenta un impianto urbanistico ed un aspetto che lasciano pensare ad una città fondata ex novo. Delimita insieme ad altri tre padiglioni il perimetro di quella che è stata definita la Piazza d’arte del nuovo polo culturale. Il completamento del progetto era previsto inizialmente per il 2013, ed è stato posticipato fino ad oggi.

Ispirandosi alle catene montuose che caratterizzano il territorio circostante, dove si trova anche il Lago Wenyinghu, quattro elementi piramidali si stagliano verso gli angoli della piazza a simulare proprio le vette. Il padiglione, con la sua ampia copertura ed un’estensione di circa 32.000 metri quadrati, viene anche definito un “salotto urbano per Datong”, come afferma anche Luke Fox dello studio Foster + Partners:

“Capace di riunire persone, arte ed artisti in uno spazio dove poter interagire. Progettato per il futuro, speriamo che il museo diventi il centro della vita culturale della città, una destinazione pubblica dinamica”.

Gli ambienti interni sono caratterizzata da altezze diversificate che assecondano la copertura; quindi, più alti nella parte centrale e più bassi via via che ci si avvicina al perimetro, la pianta resta rigorosamente libera. La cosiddetta “Grande Galleria” presenta infatti ben 37 metri di altezza per 80 metri di larghezza. L’illuminazione naturale è favorita dalla presenza di grandi lucernari lineari e corredata da fonti di illuminamento secondario nella parte bassa.

L’orientamento a nord e nord-ovest dei lucernari fa sì che vi sia un microclima ideale per le opere esposte. Durante le ore serali, al contrario, l’intera struttura funge da sorgente luminosa per gli spazi esterni, garantendo un effetto scenografico e suggestivo. L’inclinazione delle falde in acciaio della copertura, isolate termicamente, garantiscono inoltre un efficiente drenaggio dell’acqua piovana.

Per l’allestimento interno la scelta è ricaduta su uno stile minimal che richiama lo stile white-cube. Il Datong Art Museum è distribuito su quattro livelli, tre fuoriterra ed uno interrato per evitare di sovrastare sullo spazio circostante. Sono presenti oltre alla Grande Galleria, spazi espositivi più piccoli nello spazio perimetrale, una mediateca, un archivio, una caffetteria ed un ristorante.


Inaugurata al House of Music di Budapest

house-of-music-hungaryliget-budapest-project5.png

Nella capitale ungherese il progetto firmato Sou Fujimoto Architects propone un’originalissima rivisitazione del rapporto tra suono, luce e natura.

La città già polo culturale per la musica classica e popolare, con la House of Music proporrà un programma di musica dal vivo, mostre, programmi didattici ecc. I visitatori saranno immersi in un ambiente totalmente permeabile e filtrato, riflesso delle prospettive verso cui va la produzione musicale e l’aspetto naturalistico ne è una parte fondamentale. Per la sua inaugurazione sono state già predisposte una mostra permanente dedicata alla musica europea e la prima mostra temporanea dedicata al pop ungherese tra gli anni ’50 e gli anni ’90.

L’edificio si trova nel più grande parco cittadino e si estende per circa 9.000 metri quadrati prendendo il posto degli ex uffici di Hungexpo, perfettamente integrato nel suo contesto costituisce per i progettisti un prolungamento del parco stesso. Si inserisce nell’ambito del Progetto Liget Budapest, lo sviluppo culturale urbano più ambizioso e pluripremiato d’Europa. La trasparenza dell’edificio è resa grazie all’impiego di una cortina di vetro, 94 pannelli termoisolanti, alti fino a 12 m.

Dal punto di vista impiantistico un ottimo livello di efficienza energetica è garantito da un sistema di riscaldamento e raffrescamento di tipo geotermico; quindi, sfrutta le fonti rinnovabili per soddisfare il fabbisogno energetico dell’edificio ed e criteri per l’ottenimento della certificazione Breeam.

La copertura presenta all’intradosso una decorazione a foglie d’albero, circa 30.000, insieme formano una trama a nido d’ape da 1.000 elementi. Allo stesso tempo all’estradosso la particolare geometria dell’edificio richiama l’andamento delle onde sonore, pur non sovrastando le chiome del parco circostante. I fori che discretizzano la copertura, di forma variabile, simulano l’ombreggiatura delle chiome degli alberi e permettono alla luce di entrare in ogni ambiente. Il progettista ha infatti raccontato:

“Siamo rimasti incantati dalla moltitudine di alberi nel parco cittadino e ispirati dallo spazio da loro creato, Mentre la fitta e ricca tettoia copre e protegge l'ambiente circostante, consente anche ai raggi del sole di raggiungere il suolo. Ho immaginato la pianta aperta, dove i confini tra interno ed esterno si confondono, come una continuazione dell'ambiente naturale".

Articolato su tre livelli, come i tre movimenti di una partitura musicale e vede al di sotto della grande cupola, al piano terra, la sala da concerto ed un palcoscenico all’aperto, al livello superiore gli spazi dedicati all’apprendimento, infine al piano seminterrato vi sono le mostre.

L’edificio si connota anche come una rivisitazione del museo del XXI secolo, ponendo come base filologica del progetto anche l’esperienza del compositore Karlheinz Stockhausen, ovvero un’esperienza uditiva a 360 gradi, presentata ad Osaka nel 1970 in occasione dell’Esposizione Universale. La cupola emisferica in questione, infatti, emette audio surround da ogni direzione.